Corporeità e narrazione




Avere un corpo, essere un corpo. Raccontare storie, abitare la narrazione della propria vita.
L'unicità di ciascun essere umano e delle sue esperienze di vita è complessa, frutto dell'intreccio e della interazione di una molteplicità di parti. Di una torta è possibile distinguere i suoi ingredienti, mentre l'abbiamo in mano? Ad un certo livello sappiamo che ci sono e che la nostra torta è quella che è, una sacher e non una millefoglie, grazie alla misura e all'interazione fra gli ingredienti che la compongono, grazie ai processi di impasto, lievitazione, cottura a cui è stata sottoposta. Perché scrivere di torte?
L'essere umano non è una torta e la delusione di una ciambella senza buco non può paragonarsi alla sofferenza con cui è possibile trovarsi a fare i conti nella propria vita. Ma a volte può bastare un piccolo evento, quell'ennesima metaforica ciambella, o una ciambella a cui tenevamo tanto perché proprio quella ciambella era un dono da o per una persona amata e ci aspettavamo fosse diversa da quella che nella fucina del nostro forno la ciambella reale, invece, si rivela essere.
Siamo fatti di corpi e di storie. Ogni corpo ha le proprie leggi e alcune di queste leggi accomunano i corpi. Se così non fosse la medicina non avrebbe alcuna presa né successo né si potrebbero salvare oggi molte vite che in passato soccombevano per inesistenza di cure adeguate. Ma non basta. Da alcuni esperimenti datati intorno al 1950, sappiamo che i cuccioli delle scimmie Rhesus posti di fronte a due madri artificiali, una fatta di filo di ferro ed erogatrice di latte tramite un biberon e l'altra senza latte, ma ricoperta di tessuto morbido, sceglievano quella morbida per sostare e lasciarsi riscaldare.
Ogni narrazione è una occasione. Cosa accade nel corpo che sono e che ho, mentre vivo una narrazione piuttosto che un'altra? Conosco il mio corpo, sono in contatto con le sue parti e con il potenziale narrativo che ciascuna parte e l'insieme complesso delle parti in interazione fra loro può esprimere e veicolare? Che cosa è questa complessità? Mi accorgo di scegliere in continuazione la sacher nonostante nel mondo ci siano anche molte altre torte? Se una volta, o più di una volta me ne accorgo, cosa succede? So che ingredienti ho in casa? Mi interesso alla possibilità di farne una torta? Oppure giacché ogni mattina trovo una torta pronta, non mi fermo ad interrogarmi su questi dilemmi pasticceri? E se una mattina, d'improvviso, la torta non c'è più?
Ho preso e prendo un po' di tempo per conoscermi, per osservare ciò che mi accade, per sentire? Ho spazio di osservazione, quando il mio corpo mostra segnali di un certo tipo? Ma se non ho mai imparato a sentire, come faccio a farlo? Mi lascio trasportare dall'elaborazione di narrazioni e dall'attivazione di significati familiari, frutto delle storie che mi sono state raccontate, della cultura in cui vivo, delle aspettative che nutro sulla mia esistenza e sulle mie torte, delle narrazioni che ho incarnato e che incarno, che io lo sappia oppure no?
Ho bisogno di saperlo, o mi basta vivere? Gli animali non hanno bisogno di raccontarsi storie, loro vivono, sanno cosa fare e lo fanno. Margaret Mead, antropologa, disse che il primo segno di civiltà in una cultura antica era un femore rotto e poi guarito. Nel regno animale, se ti rompi una zampa è molto probabile che morirai. Qui ci potremmo interrogate sull'atrocità di quello che accade oggi fra gli esseri umani nel mondo, su come i giochi di potere determinino che molte, troppe persone muoiano come fossero fiches giocate alla roulette, animali privati di fratellanza. Essere vivi apre al fatto di esserlo in un posto e non in un altro, alla possibilità di assumerlo come proprio e a provare a farsene qualcosa. La filosofia buddhista afferma che l'equanimità, la capacità di avere la giusta distanza e la giusta vicinanza, va intrecciata con la compassione, la reale esperienza di patire insieme al mio consimile, all'altro che è di fronte a me e che è umano, come me.
Siamo vivi trovandoci in relazione, con noi stessi, con gli altri con l'ambiente. Siamo vivi vivendo e sostando in quei frangenti, in cui abitiamo storie che ci fanno piombare tra ciambelle e femori da aggiustare.
Può un animale entrare in crisi? E noi umani, che ce ne facciamo delle crisi che incontriamo mentre viviamo e sappiamo o non sappiamo ascoltarci, mentre viviamo e apparteniamo contemporaneamente al regno della vita, al regno animale, alla polvere di stelle che compone i nostri tessuti?
Sono tutte domande aperte, sono livelli che possono aprirsi se ci fermiamo ad ascoltarci, se decidiamo di assumerci uno spazio di ascolto, se chiediamo attivamente aiuto per poterlo fare. Il che è un atto coraggiosissimo e a volte i sintomi sono una occasione grandissima, le crisi altrettanto, per poter intercettare spiragli di nuove narrazioni e nuovi modi di stare nella vita.
Avendo un corpo, essendo un corpo, aprendosi alla possibilità di amare oltre.